sabato 2 febbraio 2013

"Cigni selvatici. Tre figlie della Cina": un'autentica ed epica storia familiare dalla fine del Celeste Impero all'ascesa di Mao.


CIGNI SELVATICI. TRE FIGLIE DELLA CINA.

Ho imparato la storia cinese del XX secolo grazie a Jung Chang.
Cigni selvatici è un Documento Storico che riporta vivido il sapore degli affetti familiari, il dolore sordo della perdita e il calore dell'amore fra madre e figlia. 

L'edizione nella mia libreria è di TEA (Jung Chang, Cigni Selvatici. Tre figlie della Cina, collana Grandi Storie Tea, traduzione di Lidia Perria, Tea, 2005, pp. 677 + indice, ISBN 8850208472 fonte: Libreria universitaria.it e abebooks.it).


Copertina dell'edizione italiana.

TRAMA

Cigni selvatici è un libro sulla caduta dell'Impero Cinese, sui Signori della Guerra e l'ascesa di Mao. E' l'epica e vera vicenda della nonna di Jung Chang, di sua madre e della stessa autrice. Ricordi, dolori, affetti familiari si intrecciano alle complesse vicende politiche che hanno trasformato la Cina in meno di un secolo. Meraviglioso!


Ecco alcuni estratti. Avete già letto "Cigni Selvatici"
Cosa ne pensate?  
Intanto... Buona lettura :)


"Avevo sempre sognato di scrivere, ma all'epoca in cui vivevo in Cina l'idea di scrivere testi destinati alla pubblicazione sembrava impossibile. In quegli anni il Paese era soggetto alla tirannia di Mao, e la maggior parte degli scrittori subì sofferenze inaudite nel corso di interminabili persecuzioni politiche. Molti di loro vennero denunciati, altri inviati nei campi di lavoro, e alcuni sottoposti a pressioni tali da arrivare al suicidio. Nel biennio 1966-67, durante la «grande purga» di Mao, erroneamente definita «Rivoluzione Culturale», la maggior parte dei libri trovati nelle abitazioni private fu data alle fiamme. Mio padre, che era stato un funzionario del Partito comunista ma era caduto in disgrazia, fu costretto a bruciare la sua biblioteca che adorava, e quella fu una delle cause principali che scatenarono la sua follia. Anche scrivere per se stessi era estremamente pericoloso. Fui costretta a strappare la prima poesia che avevo scritto, il 25 marzo 1968, giorno del mio sedicesimo compleanno, e a gettare i pezzi di carta nel gabinetto perché i persecutori di mio padre erano venuti a compiere un'irruzione nella nostra abitazione. (...) Durante la violenta Rivoluzione Culturale che ebbe luogo fra il 1966 e il 1976, la mia famiglia ha subito atroci sofferenze. Mio padre e mia nonna sono andati incontro a una fine dolorosa. Io non volevo rivivere gli anni in cui mia nonna era stata malata senza ricevere cure, o la prigionia di mio padre, e la tortura di mia madre, costretta a stare in ginocchio su schegge di vetro. Le poche righe che riuscii a mettere giù erano superficiali e prive di vita. Non ne ero soddisfatta. Poi, nel 1988, mia madre venne a Londra per stare con me. Era il suo primo viaggio all'estero. Volevo che si divertisse il più possibile, e dedicai molto tempo a portarla fuori. Qualche tempo dopo, però, mi accorsi che non sembrava più lei. Aveva qualcosa per la testa; era irrequieta. Un giorno declinò la proposta di accompagnarmi per un giro di spese e si sedette al mio tavolo da pranzo nero, sul quale splendeva un mazzo di narcisi dorati. Tenendo fra le mani una tazza di tè al gelsomino, mi disse che quello che desiderava di più era parlare con me. Mia madre parlò ogni giorno per mesi interi. Per la prima volta da quando ero nata, mi parlò di sé e della nonna. Venni così a sapere che la nonnna era stata la concubina di un generale, uno dei signori della guerra del tempo, e mia madre si era iscritta al movimento clandestino comunista all'età di quindici anni."


"All'età di quindici anni mia nonna divenne concubina di un signore della guerra, un generale capo della polizia di un inconsistente governo nazionale cinese. Era il 1924, e la Cina era in preda al caos. Gran parte del suo territorio, compresa la Manciuria dove viveva mia nonna, era governata dai signori della guerra. L'unione fu combinata dal padre di lei, un funzionario di polizia di Yixian, una cittadina di provincia della Manciuria sudoccidentale, che si trovava circa centosessanta chilometri a nord della Grande Muraglia e quattrocento chilometri a nordest di Pechino. (...) Mia nonna era un'autentica bellezza. Aveva il viso ovale, con le guance rosee e la pelle luminosa. I capelli lunghi, di un nero lucente, erano raccolti in una folta treccia che le arrivava fino alla vita. Quando l'occasione lo richiedeva, e cioè quasi sempre, sapeva mantenere un atteggiamento riservato, ma sotto la compostezza esteriore fremeva di energia repressa. Era piccola di statura, circa un metro e sessanta, con una figura snella e le spalle cadenti, che erano considerate l'ideale. Il suo pregio maggiore, però, erano i piedi fasciati, che in cinese venivano chiamati «gligli dorati di otto centimetri» (santsun-gin-lian). Ciò significava che si muoveva come un tenero virgulto di salice alla brezza primaverile, per usare l'espressione tradizionale degli intenditori di bellezza muliebre cinesi."


"Agli inizi del 1938, mia madre aveva quasi sette anni. Era molto intelligente e mostrava una notevole inclinazione per gli studi. I genitori pensarono di farle cominciare la scuola all'inizio del nuovo anno scolastico, subito dopo il Capodanno cinese. L'istruzione, e in particolare i corsi di storia ed etica, era rigidamente controllata dai giapponesi. La lingua ufficiale a scuola era il giapponese, non il cinese. Dalla quarta elementare in poi, le lezioni si svolgevano interamente in giapponese e la maggior parte degli insegnanti veniva dal Giappone. L'11 settembre 1939, quando mia madre frequentava il secondo anno della scuola elementare, Pu Yi, l'imperatore del Manchukuo, giunse a Jinzhou in visita ufficiale con la moglie. Mia madre fu prescelta per offrire dei fiori all'inperatrice al suo arrivo. C'era una gran folla su una piattaforma decorata a colori vivaci, e tutti avevano in mano bandierine di carta gialla con i colori del Manchukuo. A mia madre era stato affidato un enorme mazzo di fiori, e si sentiva molto sicura di sé mentre attendeva vicino alla banda e a un gruppo di notabili in marsina. (...) Gli insegnanti dicevano che il Manchukuo era un paradiso in terra. Tuttavia mia madre, per quanto fosse piccola, si rendeva conto che, se la sua terra poteva essere definita un paradiso, lo era soltanto per i giapponesi."


"L'uomo magro, dall'aria trasognata, che quella mattina di ottobre mia madre vide lavarsi i denti in cortile, era noto fra i compagni di guerriglia per la sua meticolosità. Si lavava i denti tutti i giorni, e già quella era una novità per gli altri guerriglieri e per i contadini dei villaggi in cui aveva combattuto. A differenza di tutti gli altri, che si soffiavano il naso con le dita, lui usava un fazzoletto, che lavava nonappena gli era possibile. Non immergeva mai l'asciugamano per il viso nella bacinella comune, come facevano gli altri soldati, perché le infezioni agli occhi erano molto diffuse. Inoltre era noto come una persona colta e un lettore appassionato, e si portava sempre dietro qualche volume di poesia classica, anche in battaglia. (...) Anche mio padre conosceva il coraggio di mia madre e sapeva che lei, una ragazza di diciassette anni, impartiva ordini agli uomini, cosa del tutto inusuale. Una donna ammirevole ed emancipata, aveva pensato, anche se l'aveva immaginata simile a un feroce dragone. Con sua grande gioia, la trovò bella e femminile, persino un po' civetta. Era affabile e persuasiva nello stesso tempo e inoltre, cosa assai rara in Cina, era precisa. Quella era una qualità estremamente importante per mio padre, che detestava il tradizionale modo fiorito di esprimersi, poco serio e approssimativo. Mia madre notò che lui rideva molto e aveva denti bianchi e brillanti, a differenza della maggior parte dei guerriglieri, che spesso li avevano scuri e marci. Fu anche attratta dalla sua conversazione. La colpì perché era un uomo colto e intelligente: il tipo di persona che non confonde certo Flaubert con Maupassant."
 

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